La perdita ha bisogno di una nuova cosmologia

Pensaci: la forza del tempo profondo, eoni di anni – senza calendario, senza nome, che schiumano ai bordi turbolenti del cosmo – che continuano a rotolare. A girare e girare. Stelle che esplodono. Supernove. Materia che si materializza. Forze coagulative che danno nascita a pianeti e corpi stellari. Il cosmo danza attraverso miliardi e miliardi di anni in piccate trattative con l’indicibile. E poi tutto quel turbinare arriva a produrre qualcosa di tenero: la pelle simile a carta di un tegumento. L’oltraggio tonante di un’esplosione quasar che cade in ginocchio, dolcemente, per proteggere un fragile embrione da avverse forze ecologiche.

Direi che l’universo richiede più energia per alchimizzare la morbida pelle di un seme che per generare un buco nero. Forse la fisica non torna. Ma c’è qualcosa nel possente chinarsi al delicato che richiede una logica diversa, un modo diverso di pensare alle origini e ai divenire.

Consideriamo ora come questa squisita produzione – il genio di miliardi di anni senza nome – in un istante, imploda e si spacchi nelle profondità della terra. Penseresti che la faticosa vittoria di condensare forze incontenibili per produrre qualcosa di così etereo suggerisca un bisogno di protezione. Di misure di sicurezza di un qualche tipo. Al contrario, lo stesso universo che intesse l’equivalente materico di un sussurro lo distrugge rapidamente nel calore del terriccio.

Perché l’universo fa questo?

Difficilmente lo consideriamo in questa forma, ma la perdita è la creazione più delicata dell’universo. La sua arte più squisita. Una sacca per trasportare nuovi racconti potrebbe raccogliere la perdita dalla terra, umida e morbida, e darle un posto d’onore tra le narrazioni esauste di guerra su come nascono le cose nuove. La perdita ha bisogno di una nuova cosmologia – un gesto piccolo che tocchi la pianticella in mezzo alla polvere nera della dipartita. La perdita ha bisogno di una nuova cosmologia: una che non sia trattata come una mancanza, come qualcosa da colmare velocemente con un surrogato. Non come la sostenibilità, che non è che il grido primordiale dissimulato del sé moderno che invoca permanenza.

La perdita ha bisogno di una nuova casa. Una casa adeguata a randagiare.

Bayo Akomolafe

Testo originale https://www.facebook.com/photo/?fbid=626180826189154&set=a.218795146927726
Fotografia: Levon Biss, The Hidden Beauty of Seeds and Fruits, 2021